La rubrica di Virgilio

 di Virgilio Tosi

Filmare le fotografie


Questo argomento mi affascina da più di cinquant'anni:

-- dopo aver meditato sul proverbio persiano un'immagine vale più di mille parole,

-- dopo aver cominciato a fare il documentarista usando il linguaggio delle immagini in movimento,

-- dopo aver fatto ricerche storiche per dimostrare che questo linguaggio è nato prima come strumento di ricerca e di documentazione scientifica e solo dopo come forma di comunicazione e di espressione anche artistica e spettacolare di intrattenimento,

-- dopo aver studiato e sperimentato sui movimenti oculari e la percezione di sequenze filmiche,

 

ho deciso, tanti anni fa, di fare una scommessa con me stesso provando a filmare delle fotografie per trasformarle in immagini in movimento con il montaggio cinematografico, anche per sperimentare il valore dell'immagine fissa ma filmata come documento di antropologia culturale.

Questo documentario è del 1969, ed è stato presentato al Festival dei Popoli di Firenze nel 1970. Si intitola Fotografia della famiglia italiana ed è visibile on line cliccando sul link http://youtu.be/9c0ux8vmVbo.L'idea nacque quando ebbi notizia di una Mostra fotografica: "La famiglia italiana in 100 anni di fotografia" promossa nel 1968 dal Centro informazioni Ferrania e dalla Cooperativa 'Il libro fotografico' di Milano. (Ne fu pubblicato anche un prezioso catalogo, ora difficilmente trovabile, salvo in alcune biblioteche). I realizzatori dell'iniziativa furono il fotografo e storico della fotografia Ando Gilardi, Marcantonio Muzi Falconi, della ditta Ferrania produttrice di pellicole foto-cinematografiche, e Tullio Seppilli, professore di antropologia culturale all'Università di Perugia. L'allestimento della mostra, in pannelli strutturati tassonomicamente, fu del geniale artista visuale (pittore, grafico, fotografo, cineasta, scenografo) Luigi Veronesi.

Il materiale fotografico dal quale furono scelte le circa 150 fotografie storiche esposte nella mostra era stato raccolto e selezionato dai curatori dell'iniziativa tra migliaia di immagini inviate dai lettori della "Domenica del Corriere", all'epoca il popolarissimo supplemento settimanale illustrato del "Corriere della Sera".

La scommessa con me stesso fu quella di realizzare un documentario utilizzando solo circa la metà delle fotografie selezionate per la mostra. Anche così facendo mi resi conto che mi accingevo a realizzare un film fuori dalla norma per la sua lunghezza (lo standard per un documentario era allora one reel, cioè un rullo di pellicola 35mm, durata 11 minuti). Secondo la legge sul cinema allora vigente i documentari che ottenevano da una commissione ministeriale il "premio di qualità" avevano diritto alla programmazione obbligatoria nelle sale cinematografiche (e gli esercenti ricevevano uno sgravio sulle tasse erariali). Ma se il documentario era più lungo dei normali 10' gli esercenti non lo proiettavano per non perdere la possibilità di fare uno spettacolo in più al giorno con il film a soggetto; a questo guadagno si aggiungevano i proventi della presentazione di più pubblicità e della vendita del pop corn e dei gelati nell'intervallo supplementare. Quindi o rifiutavano il documentario o lo indicavano abusivamente, all'italiana, nei bollettini della S.I.A.E. esposti alla cassa del cinema, intascando il ristorno erariale ma non perdendo la proiezione in più del film a soggetto, perché semplicemente il documentario non lo proiettavano.

Fotografia della famiglia italiana dura 22' ed è l'unico documentario della mia filmografia che ho autoprodotto in proprio (con la collaborazione finanziaria per l'acquisto della pellicola e la disponibilità di mezzi tecnici dell'amico documentarista Raffaele Andreassi). Gli altri collaboratori furono: il direttore della fotografia Carlo Ventimiglia, con la sua meravigliosa cinepresa autocostruita in un solo esemplare, la "verticale Ventimiglia"; il musicista M° Franco Potenza, e l'attore Riccardo Cucciolla, che leggeva il mio testo di commento parlato.

Il film è stato girato secondo una sceneggiatura che prevedeva riprese di diverse inquadrature di totale e di dettagli, anche con movimenti di macchina come panoramiche e zoom, sulle circa 70 fotografie selezionate. Il materiale filmato è stato montato con un ritmo veloce: nei 22 minuti del film ci sono circa 200 inquadrature diverse. Una media, quindi, di circa 20 secondi per ogni fotografia, un ritmo che, in seguito, ho considerato fin troppo veloce. Se avessi potuto l'avrei rimontato con durate leggermente più lunghe per alcune inquadrature fisse e un ritmo un po' più lento per alcuni movimenti della cinepresa.

Con la realizzazione del documentario ho ottenuto dei risultati importanti. Anzitutto la possibilità di dimostrare, direi in modo sperimentale e con metodo scientifico, che l'uso del linguaggio delle immagini in movimento, cioè quello cinematografico basato sul montaggio di immagini dinamiche, applicato all'analisi di documenti fotografici, permette una più approfondita e dettagliata possibilità di acquisizione percettiva delle componenti iconiche e dei relativi valori concettuali intrinseci al contenuto del documento fotografico.

A titolo di esempio, vorrei citare un episodio avvenuto alla fine di una delle prime proiezioni private del documentario, prima ancora della sua distribuzione nelle sale cinematografiche. Uno degli organizzatori della mostra, che aveva partecipato alla selezione delle fotografie da esporre, scoprì, solo dopo aver visto il film, un importante dettaglio di valore antropologico culturale. Mi riferisco a una delle fotografie di coppie di sposi che vengono presentate nella prima metà del film e che erano state realizzate in studi fotografici tradizionali. In questa lunga sequenza, a circa 8 minuti e 17 secondi dall'inizio del documentario, dopo una dissolvenza incrociata, inizia la presentazione di una foto-ricordo di una giovane coppia di sposi di chiara origine contadina, probabilmente della Ciociaria (guarda qui: http://youtu.be/9c0ux8vmVbo?t=8m17s).

L'inquadratura iniziale presenta in primo piano la mano della sposa e quella dello sposo poggiate su una specie di trespolo in legno scolpito. Uno zoom indietro allarga l'immagine sino a inquadrare il totale della fotografia di lui e di lei messi in posa dal fotografo ai due lati del trespolo. Con uno stacco netto si passa poi dal totale a un primo piano di lui, quindi inizia una panoramica verticale verso il basso, mostrandoci il suo vestito un po' sgualcito, fino ad inquadrare le sue scarpe: entrambe sfondate, con la tomaia scucita e la suola aperta. Senza fermarsi la panoramica continua in orizzontale, per inquadrare le belle scarpine di lei e riprende a salire in verticale mostrandoci il vestito festivo la cui gonna è protetta, come da tradizione, da un vistoso grembiale del quale risaltano le freschissime pieghe come se fosse stato appena stirato. La panoramica procede verso l'alto registrando l'immancabile scialle sulle spalle, fino al primo piano di lei che ci obbliga ad osservare come, nel desiderio di apparire, si è messa non una ma due collane.

La breve sequenza di alcune inquadrature, collegate da movimenti di cinepresa e di zoom e da uno stacco di montaggio, dura solo 45 secondi. Il movimento di panoramica da verticale a orizzontale, nel passaggio dal primo piano delle scarpe di lui a quelle di lei, è continuo, cioè non c'è nemmeno un fermo di fotogramma per sottolineare lo stridente contrasto tra le due paia di calzature. La dinamica delle immagini in movimento ha permesso, anche allo spettatore che già conosceva quella fotografia per averla selezionata per la mostra, di notare un dettaglio così significativo che però gli era sempre sfuggito in precedenza.

Da quando nel 1976 ho cominciato ad affiancare all'attività di documentarista anche quella di docente ho colto tutte le occasioni per attirare l'attenzione degli studenti sulle opportunità offerte dal trasformare in immagini in movimento quelle che, in origine, sono delle immagini statiche come le fotografie. E mi sono avvalso, ovviamente, anche delle sperimentazioni compiute, ben prima del mio documentario, da altri cineasti in vari paesi. Ecco alcuni punti di riferimento per chi volesse approfondire gli aspetti teorici e tecnici delle possibilità del linguaggio cinematografico di rendere dinamiche delle immagini fisse.

City of Gold di Colin Low e Wolf Koenig (1957 - 21') è un documentario canadese che rievoca la "febbre dell'oro" degli ultimi anni del XIX secolo nella zona di Dawson City nel Klondike, nelle vicinanze del circolo polare artico. Una buona parte del film è stata girata, con la tecnica espressiva sopra descritta, grazie alla fortunosa riscoperta, durante i sopralluoghi effettuati per la realizzazione del documentario, di un deposito di circa 200 lastre fotografiche 18x24cm impressionate da un fotografo locale verso il 1898 e ritrovate intatte durante la demolizione della vecchia casa dove era esistito il suo studio. I registi del film hanno saputo utilizzare al meglio il grande valore della documentazione visiva contenuta in quei preziosi negativi fotografici, gli hanno dato una nuova vita ed espressività dinamica filmandoli e montando le sequenze cinematografiche ottenute. Koenig era un appassionato fotografo e Low si era formato nel reparto film di animazione, diretto dal famoso cineasta scozzese Norman McLaren, del National Film Board of Canada che ha prodotto City of Gold. Il film è stato premiato al festival di Cannes e ha avuto una nomination per l'Oscar; è visibile sul sito del National Film Board of Canada (guarda qui il film: http://www.nfb.ca/film/city_of_gold/).

Gente di Trastevere (1961 - 10') e Processioni in Sicilia (1965 - 10') di Michele Gandin, sono due documentari one reel realizzati utilizzando magistralmente soltanto una serie di immagini di due noti fotografi italiani: Carlo Bavagnoli e Fernando Scianna.

Il regista Luciano Emmer iniziò la sua brillante filmografia con alcuni brevi film, come Racconto di un affresco (1941) (clicca qui per vedere il film http://youtu.be/GwYLkS0Eabc) e Il Cantico delle Creature (1942) che altro non sono che una narrazione cinematografica di storie raccontate dalle immagini fisse di celebri affreschi e dipinti. Nell'immediato dopoguerra questi 'cortometraggi documentari' entusiasmarono il fondatore della "Cinémathèque Française", Henri Langlois, che li proiettò nel 1948 a Parigi con grande successo. Analoghe tecniche e procedimenti di ripresa e di montaggio sono stati utilizzati dallo storico e critico d'arte Carlo Ludovico Ragghianti che, con i suo i"critofilm" realizzati tra il1948 e il1964, "fece del mezzo cinematografico un efficace strumento di indagine critica e di divulgazione" (cit. da Wikipedia). Da notare che Ragghianti realizzò i suoi critofilm utilizzando lo stesso direttore della fotografia Carlo Ventimiglia e la stessa cinepresa verticale nell'unico esemplare esistente con la quale ho filmato Fotografia della famiglia italiana.

Nei decenni passati dalla realizzazione di questo mio documentario, anche per le esperienze vissute nel corso delle lezioni e seminari in scuole di cinema e università europee e del continente americano su questo argomento,ho maturato la convinzione che il modulo espressivo del linguaggio cinematografico, cioè il rendere dinamiche immagini che in partenza sono immagini fisse, è un tassello importante, forse fondamentale, di quel salto genetico rappresentato, nella evoluzione del nostro cervello, dalla scoperta e dalla utilizzazione dell'invenzione della "cronofotografia" da parte del fisiologo Etienne-Jules Marey. E da tutto quel che ne è seguito, dal cinema all'attuale dominante invasione della comunicazione visiva che sta trasformando la cultura umana. Con un nuovo richiamo al proverbio persiano (un'immagine vale più di mille parole), quanto valgono e quanto sempre più varranno in futuro le immagini in movimento nella vita quotidiana e nella nostra vita culturale?

(continua)



Nel dopoguerra Virgilio Tosi è tra gli animatori del movimento dei Circoli del Cinema. Come documentarista, dopo aver collaborato con Cesare Zavattini, si è specializzato nel campo del film scientifico. Ha svolto in parallelo attività nel campo della critica e della saggistica cinematografica. È stato consulente dell'UNESCO, dell'Istituto Luce, della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, presidente dell'International Scientific Film Association , direttore di ricerche in campo audiovisivo per il C.N.R., il C.S.C. e per la RAI-TV. Ha insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia, alla Scuola ZeLIG di Bolzano, e come professore a contratto di "Cinematografia documentaria" all'Università "La Sapienza" di Roma e in altre scuole di cinema e università. Per filmografia e bibliografia vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_Tosi