La rubrica di Virgilio

 di Virgilio Tosi

Parliamo tanto di AZ - Arturo Zavattini

Una mostra del fotografo AZ al Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma


I lettori che seguono questa rubrica noteranno un'anomalia nel titolo di questa puntata: infatti un titolo simile è già apparso più volte nella rubrica, ma si trattava di Parliamo tanto di ZA, intendendo ZA per Zavattini, Cesare Zavattini, per la precisione padre di Arturo. E per essere ancora più precisi: questo titolo era nato come allusione al libro d'esordio di ZA, Parliamo tanto di me, del 1931. Questa volta, invece, si tratta del figlio di ZA, Arturo, nato nel 1930, un anno prima del primo libro di suo padre. Arturo scoprirà la fotografia nel 1949 quando chiederà al padre di regalargli una macchina fotografica: una Ferrania Condor. La sua prima macchina fotografica. E la fotografia diventerà per Arturo Zavattini una scoperta importante che caratterizzerà tutta la sua attività futura.

All'inizio degli anni '50 Arturo Zavattini inizierà a lavorare nel campo del cinema come assistente del grande direttore della fotografia Aldo Graziati (spesso citato come G. R. Aldo) per il film Umberto D (1952) di Vittorio De Sica, soggetto e sceneggiatura di Cesare Zavattini. Nello stesso anno farà il suo esordio come fotografo professionista partecipando alla prima ricerca etnografica sul campo in Lucania di Ernesto De Martino. Il punto culminante dell'attività cinematografica di Arturo Zavattini, dopo più di trent'anni di lavoro, può essere considerato l'aver partecipato come direttore della fotografia al film La Veritàaaa (1982), primo e unico film del quale Cesare Zavattini è stato anche regista e attore protagonista.

In seguito Arturo Zavattini si è dedicato (e continua a dedicarsi ancora oggi) con grande passione all'archivio di suo padre, nella casa di via S. Angela Merici di Roma, dove lo stesso Arturo conserva il suo personale archivio fotografico.

La mostra fotografica al Museo nazionale delle arti e tradizioni popolari di Roma riguarda solo un decennio dell'attività di "AZ - Arturo Zavattini fotografo". Infatti, il sottotitolo dice: "viaggi e cinema 1950-1960". Considerando il fatto che Arturo ha oggi 85 anni, si tratta dunque di una mostra dedicata al primo decennio della sua attività di fotografo. E voglio sottolineare che si tratta in buona parte di fotografie inedite. Così come in gran parte sono tuttora inedite le immagini che Arturo ha realizzato nei decenni successivi. Per cui, dato l'alto livello delle circa 180 fotografie presentate in questa mostra, c'è da sperare che si possa pensare in un prossimo futuro a organizzarne un'altra per farci conoscere almeno una selezione di quanto  il "fotografo naturale" Arturo ZA ha realizzato nei cinquant'anni successivi. Personaggio schivo e modesto, rigoroso e pieno di understatement verso se stesso e il suo lavoro, ma le sue fotografie meritano di essere conosciute ed apprezzate. L'ho chiamato "fotografo naturale" perché so che Arturo accetta questa definizione, considerando appunto "naturale" la sua attività di fotografo, connaturata al suo modo di vedere, osservare, documentare il mondo che lo circonda, la vita che sta vivendo.

La mostra, ben strutturata dai curatori Francesco Faeta e Giacomo D. Fragapane, si apre con una prima serie di immagini dedicata a: "Viaggio in Lucania", realizzate nel 1952 a Tricarico (Matera) durante la già citata spedizione etnografica di E. De Martino. Venti belle, impressionanti fotografie di classico carattere neorealistico: dopo averle viste una prima volta sarà difficile dimenticarle.

Segue un'ampia selezione sui "Viaggi in Italia", composta da più di sessanta fotografie realizzate nel corso del decennio 1950-1960, in buona parte a Roma e nel Lazio, ma anche a Luzzara (il paese emiliano dove sono nati sia Cesare che Arturo), a Torino, Venezia, Napoli. Una serie di immagini nelle quali la figura umana è sempre caratterizzante e talvolta dominante, ma dove spesso la natura, l'ambiente fanno sentire la loro significante presenza.

La terza sezione della mostra, "Viaggio in Thailandia", consiste di alcune decine di attraenti e non superficiali o folkloristiche immagini che il fotografo ha sentito l'esigenza di realizzare durante la sua permanenza in quel paese.  Ci andò nel 1956, come assistente operatore del direttore della fotografia Otello Martelli, durante la realizzazione del film italo-statunitense La diga sul Pacifico di René Clément (tratto dal romanzo di Marguerite Duras).

La quarta sezione è "Viaggio a Cuba" (1960): immagini che traggono di nuovo origine dalla presenza del fotografo a La Habana per partecipare alla realizzazione di un film: Historias de la Revolucion di Tomas Gutiérrez Alea, ex-allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. E' stato il primo film di lungometraggio prodotto a Cuba dopo la vittoria del movimento castrista.

 L'ultima sezione della mostra ha un titolo che può apparire ambiguo: "Backstage". Sembra voler indicare, secondo il tipico atteggiamento personale di modestia dell'autore, semplicemente una selezione di immagini realizzate durante le pause della sua attività di tecnico cinematografico come operatore di macchina nella troupe di alcuni film a soggetto.

In realtà, in questa parte conclusiva della mostra, troviamo una serie di ritratti fotografici acuti, originali, brillanti, ironici di alcuni personaggi importanti del mondo del cinema (più un'eccezione particolare nel caso di Ernesto "Che" Guevara). Sopratutto sorprendenti sono le immagini di Federico Fellini fotografato durante le riprese di La dolce vita. Ma anche quelle di Sophia Loren, Marcello Mastroianni, di Cesare Zavattini, del grande fotografo americano Paul Strand.

Proprio in quel periodo Strand e Zavattini stanno realizzando insieme un'opera importante: un fotolibro eccezionale intitolato Un paese, pubblicato nel 1955 da Einaudi. Il paese è Luzzara, paese natale di Zavattini. Le fotografie di Strand sono diventate famose per la loro classicità figurativa, i testi di Zavattini  nnascono e fioriscono con le parole che i suoi compaesani gli confidano. Un libro forse in anticipo sui tempi, tant'è vero che, dopo alcuni decenni, avrà una nuova edizione (questa volta anche in inglese) e segnerà una tappa nell'editoria del fotolibro, per la sua originalità che diventa classica unendo le immagini con le parole dei protagonisti: uomini, cose, natura. (Varrà la pena di tornare su quest'argomento in una prossima puntata).

Definire in breve la qualità, le caratteristiche delle fotografie di Arturo Zavattini è difficile, data la varietà delle immagini che compongono la selezione di questo suo primo decennio di lavoro. Come egli stesso ammette: all'inizio, quando ha chiesto al padre di regalargli una macchina fotografica perché sente il bisogno, attraverso il suo obiettivo e le immagini che capterà, di esprimersi con questa forma di iconicità, c'è probabilmente lo stimolo di Henri Cartier-Bresson (tipico il titolo di quegli anni Images à la sauvette) che voleva cogliere l'eternità con lo scatto fotografico di un istante. Ma questo era stato lo stimolo giovanile. Ci sarà poi l'esperienza formativa della documentazione etnografica con De Martino nella cruda realtà della Lucania del dopoguerra,  e l'attività di tecnico della ripresa negli anni dei film neorealisti in buona parte nati nel laboratorio di sceneggiatura del padre Cesare. E, sempre all'interno dell'ascendente del padre, ci sarà anche l'incontro e l'esperienza di Paul Strand nel periodo della nascita e della realizzazione del progetto di Un paese: Arturo ricorda di aver messo a disposizione del fotografo americano il suo piccolo personale laboratorio fotografico che si trovava nella stessa casa di Cesare Zavattini in via S. Angela Merici.

Ma, al di là di tutto, è sempre valida per me la definizione di "fotografo naturale" che rappresenta la simbiosi tra le caratteristiche umane di Arturo e il modo "naturale" di esprimersi che gli è offerto dalla fotografia.

Vi è ancora un punto che vorrei sottolineare nel rapporto tra Arturo Zavattini fotografo e suo padre Cesare, autore e "padrino" del cinema neorealista. Nelle immagini che Arturo ha realizzato avendo suo padre come soggetto, spesso significative e non certo da réportage fotografico, io vedo un'espressione della sua tenerezza per il  genitore, una testimonianza di amor filiale, un occhio-obiettivo fotografico affettuoso. Anche questo, secondo me, fa parte della sua "naturalità" di essere fotografo.

E c'è di più. Nel novembre 1999, il prof. Orio Caldiron, dell'Università La Sapienza di Roma, mi invitò, nell'ambito di un suo corso di Storia del cinema italiano dedicato a Cesare Zavattini, a tenere con i suoi studenti un seminario su "Cesare Zavattini e la fotografia". Dal testo registrato risulta una mia iniziale affermazione: "Cesare Zavattini non ha mai posseduto una macchina fotografica, in vita sua non ha mai scattato una fotografia."

Poi, però, nel corso del seminario sono emerse alcune riflessioni e proposte originali espresse da Zavattini  sulla fotografia e i giovani, e sul rapporto tra fotografia e scuola:

"Non sono più di due i registi, in Italia, che abbiano una poetica nella quale l'immagine sia l'elemento determinante. E non ce n'è neanche uno, come non c'è nessuno scrittore di cinema, me compreso, il cui racconto proceda dall'immagine, anziché trasferirsi successivamente nell'immagine, il che limita l'orizzonte. [.... ] La macchina fotografica è uno strumento da prima comunione, da commemorazione, nel suo più popolare esercizio. Nessuno ha mai pensato di introdurlo nelle scuole, per rendere meno enorme lo jato tra studi e vita, nessuno ha mai pensato di dare un tema da svolgere con la macchina fotografica. Sarebbero obbligati gli insegnanti, anche per una ragione tecnica, a un insegnamento più calzante con la realtà. La macchina fotografica ha, infatti, una finalità religiosa, e fa perciò paura, e lo dico io che non la so adoperare. [.... ] Perché non proponi a una casa fotografica che regali qualche macchina fotografica a una classe elementare, e vediamo un po' che cosa succede.“

Queste parole sono state scritte nella primavera del 1955 da Cesare Zavattini a Guido Aristarco, direttore della rivista "Cinema nuovo", nella prefazione alla raccolta dei "fotodocumentari" fatti realizzare e pubblicati dalla stessa rivista. Non ci stupisce, quindi, che negli ultimi anni del secolo scorso scopriamo che Arturo Zavattini, che non è mai stato insegnante di scuola, avrebbe messo in pratica alcune delle proposte che suo padre aveva indicato agli insegnanti già alcuni decenni prima. Mi viene in mente  l'iniziativa sperimentale realizzata da Arturo a Genzano di Roma, in occasione della nota festa popolare dell'Infiorata, quando agli studenti di alcune classi della scuola media venne chiesto di realizzare una documentazione fotografica dell'evento, come se si trattasse dello svolgimento di un tema scolastico svolto però con le immagini, usando ciascuno una macchina fotografica messa gratuitamente a loro disposizione.

La mostra fotografica di Arturo Zavattini al Museo romano dell'EUR è stata inaugurata all'inizio di dicembre 2015 e rimarrà aperta fino al 28 marzo 2016. Per chi non facesse in tempo a visitarla segnalo il libro-catalogo pubblicato da Contrasto, che riproduce tutte le foto esposte, più alcuni saggi dei curatori, di Emilia De Simoni e di altri.

Concludo con un ringraziamento ad Arturo Zavattini. La mostra mi ha permesso di dare alla nostra vecchia amicizia ancora più profonde radici: sono emersi significati e valori, soprattutto iconici, ma non soltanto, portati alla luce dalla presa di conoscenza delle sue immagini di fotografo naturale che prima non conoscevo.

 



Nel dopoguerra Virgilio Tosi è tra gli animatori del movimento dei Circoli del Cinema. Come documentarista, dopo aver collaborato con Cesare Zavattini, si è specializzato nel campo del film scientifico. Ha svolto in parallelo attività nel campo della critica e della saggistica cinematografica. È stato consulente dell'UNESCO, dell'Istituto Luce, della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, presidente dell'International Scientific Film Association , direttore di ricerche in campo audiovisivo per il C.N.R., il C.S.C. e per la RAI-TV. Ha insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia, alla Scuola ZeLIG di Bolzano, e come professore a contratto di "Cinematografia documentaria" all'Università "La Sapienza" di Roma e in altre scuole di cinema e università. Per filmografia e bibliografia vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_Tosi