La rubrica di Virgilio di Virgilio Tosi |
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Michele Gandin, un maestro del documentario italiano
Dall'inizio degli anni 2000 il documentario italiano
ha conosciuto alcuni eventi che segnalano un salto qualitativo nella sua
travagliata storia. L'assegnazione di alcuni prestigiosi premi
internazionali mai prima riconosciuti a un documentario italiano di lungo
metraggio, basta ricordare il recente
Fuocammare di Gianfranco Rosi; la crescente presenza, fra i realizzatori
di documentari italiani di registe donne rapidamente affermatesi grazie
all'alto livello delle loro produzioni, sono due realtà molto positive che
fanno bene sperare per il futuro del documentarismo italiano. In questo quadro, da vecchio documentarista che ha
smesso di realizzare film dopo più di cinquant'anni di attività, vorrei
considerare questa nuova situazione alla luce dello stato attuale della
storiografia del documentario italiano (del resto mi sono occupato di questi
aspetti durante alcuni decenni di insegnamento sia al C.S.C. e in altre
scuole di cinema, sia in campo universitario in Italia e all'estero). La
situazione non è brillante. Anche se esistono promettenti segni di presenza
di giovani studiosi, ricercatori e docenti, lo stato della storiografia
relativa a questo settore rimane insoddisfacente. Quindi ho deciso di dedicare questa e la successiva
puntata della rubrica alla figura di un documentarista italiano di livello
internazionale che considero trascurato e addirittura quasi ignorato da chi
si occupa del cinema documentario. Attraverso queste note, vorrei lanciare
un invito ai ricercatori, storici e documentaristi a dedicare studi
specifici e a svolgere un'opera di divulgazione e di rivalutazione del suo
lavoro.
Michele Gandin (1914-1994) è a mio parere non solo
una rilevante figura di documentarista del novecento, ma è anche importante
per le sue attività giornalistiche e critiche nel settore, nonché per
l'opera svolta come operatore culturale sempre nel campo del documentarismo.
Nato in provincia di Viterbo, fu Siena che divenne il suo primo centro di
vita e di interessi: è all'Università di Siena che si laureò su un tema ("Il
diritto d'autore nel cinema") ancora oggi aperto e dibattuto, a seguito
dello sviluppo degli audiovisivi e l'avvento dell'onnipresente
web. Durante gli anni dell'università, Gandin divenne
l'animatore del locale "Cineguf" (l'organismo dei "gruppi universitari
fascisti"), allora unica possibilità di espressione di iniziative culturali,
artistiche, di vita sociale e di dibattito degli studenti. I Cineguf avevano
anche a disposizione fondi e mezzi tecnici e produttivi. In quel periodo
Gandin realizzò i suoi primi documentari e cortometraggi, alcuni dei quali
ottennero premi ma suscitarono anche discussioni e polemiche vivaci perché
costituivano in effetti attività di
fronda rispetto al conformismo e ai metodi censori dell'allora
monopolitico regime fascista. Siamo negli anni 1935-40, l'Italia diventa
precaria potenza coloniale dalle fondamenta "imperiali" che però dimostreranno
presto la loro fragilità. Gandin si trasferisce a Roma dove non riesce a
entrare nei corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia, ma si conquista
un ruolo di assistente alla regia in due tra i primi film di Vittorio De
Sica, Teresa Venerdì (1941)
e Un
garibaldino al convento (1942). Successivamente collabora a
documentari d'attualità del cinegiornale "Settimana INCOM". Con la seconda
guerra mondiale viene inquadrato come militare in uno speciale reparto
dell'esercito che si occupa di riprese cinematografiche. Vive esperienze
drammatiche nell'isola greca di Cefalonia e, in
seguito, in un campo di concentramento tedesco in Polonia. Nel dopoguerra Gandin riprende la sua attività di
documentarista di qualità con
tematiche che vanno dalla storia dell'arte alla divulgazione scientifica:
Gli animali soffrono per noi
(1947) , Le Biccherne di Siena
(1950) fino ad una prima affermazione di prestigio internazionale con
Cristo non si è fermato a Eboli
(1952). Il titolo del film è
ispirato al libro di Carlo Levi Cristo
si è fermato a Eboli (1945) e ottiene un Leone d'oro per il documentario
alla mostra del cinema di Venezia. Questo suo documentario acquista un particolare
significato perché nasce e viene prodotto dall'UNLA (Unione Nazionale per la
Lotta all'Analfabetismo) e presenta l'importante attività nelle regioni
meridionali, principalmente in Basilicata, dei volontari impegnati a
combattere l'allora molto\ diffuso analfabetismo. Per illustrare il rapporto
tra analfabetismo e la situazione di miseria e di disagio sociale, Gandin
usa nel film con efficace espressività le testimonianze degli abitanti,
valendosi di registrazioni sonore, con l'uso nel montaggio di primi piani
dei pastori e contadini locali che rivendicano il loro diritto
all'istruzione. In seguito, Gandin farà di questa tecnica dell'intervista
diretta e con voce dell'intervistatore fuori campo una delle caratteristiche
più efficaci del suo linguaggio cinematografico e successivamente
televisivo. Negli anni del dopoguerra, Gandin svolge un'intensa
attività anche in campo politico impegnandosi con il Partito d'Azione
(allora diretto da Ferruccio Parri, che fu presidente del Consiglio dei
ministri in un governo nazionale di quegli anni). E non va dimenticato il
suo impegno nell'ambito del giornalismo cinematografico: fu per anni a
fianco di Guido Aristarco, direttore di pubblicazioni storicamente molto
importanti come la rivista "Cinema". Della sucessiva rivista "Cinema Nuovo",
Gandin sarà poi il responsabile della redazione romana. A proposito della sua attività nell'ambito politico
vorrei qui citare le parole scritte proprio da Guido Aristarco nel 1994 nel
suo ricordo dell'amico appena scomparso. Gandin aveva: "una grande capacità
di sdegnarsi su ciò che accadeva nella vita politica italiana." Contemporaneamente, con il suo lavoro di
organizzatore culturale sviluppò una serie incredibilmente ampia di
iniziative nell'ambito dei Circoli del Cinema e nel Sindacato nazionale
giornalisti cinematografici italiani (il quale diede vita, tra l'altro, al
premio annuale della critica, i Nastri d'Argento, tuttora esistenti). Da non
dimenticare, infine, che Gandin fu anche tra i fondatori della prima
Associazione Documentaristi Italiani (A.D.I.) che confluì poi nell'
importante e storica Associazione Nazionale Autori Cinematografici
(A.N.A.C.), anch'essa ancora attiva.
Incontrai
Michele Gandin nei primi anni del dopoguerra. Avevamo in comune molte
occasioni della vita sociale e culturale di allora, un periodo pieno di
stimoli, dai cineclub alla critica cinematografica, dalla nostra comune
collaborazione alle citate riviste di Aristarco alla frequentazione della
casa di Zavattini, dalla fondazione dell'A.D.I. all'ingresso come gruppo di
documentaristi nell'A.N.A.C. In un testo pubblicato su due diverse edizioni
del Bollettino dell'Associazione Italiana di Cinematografia Scientifica
stampate nel dicembre 1994 in occasione della scomparsa di Gandin, ebbi
l'occasione di scrivere: "è stato il mio primo maestro nel campo del cinema
documentario, non solo, è stato lui a darmi fiducia e a 'iniziarmi' nella
professione." Ma su questo argomento tornerò nella prossima puntata. Ora vorrei invece riassumere quanto ancora mi sembra
indispensabile per offrire uno sguardo sinottico su quanto Michele Gandin
realizzò nel corso della sua successiva attività di cineasta, fino a poche
settimane dalla sua scomparsa nel 1994. E' un ricordo ancora emozionante,
per me, rivedere oggi, nella mia memoria visiva di più di oltre vent'anni
fa, le immagini che non potrò mai dimenticare di una visita
a casa di questo mio amico e maestro che, pur colpito da tempo da una
grave affezione polmonare, non voleva smettere di lavorare: si muoveva con
fatica, non poteva uscire di casa, ma girava ancora interviste nel suo
soggiorno, per completare un episodio di una serie di documentari TV per la
RAI; per poter respirare ricorreva all'ossigeno di una bombola posta al suo
fianco. Così riusciva a porre,
sia pur con una voce arrochita (che sarebbe poi stata doppiata nella
post-produzione), le domande al consulente scientifico che, inquadrato dalla
cinepresa, stava seduto di fronte a lui (Gandin ovviamente era una voce
fuori campo). Non era fanatismo, il suo, era amore e passione per
il suo lavoro di documentarista cinematografico e televisivo, perché
credeva, come negli anni del dopoguerra, all'importanza del messaggio
audiovisivo da proporre agli spettatori su problematiche culturali,
scientifiche, sociologiche. Una completa filmografia del lavoro svolto in mezzo
secolo di attività da Michele Gandin è ancora da completare. E se è
purtroppo sinora mancata, da una parte, l'iniziativa di studiosi e docenti,
dall'altra bisogna segnalare una totale mancanza di iniziative da parte di
enti e istituzioni pubbliche che, per il loro ruolo, dovrebbero sentire il
dovere di promuovere le ricerche per realizzare questo lavoro storicamente
importante: ritrovare, restaurare, mettere a disposizione degli interessati
almeno le opere più importanti di questo cineasta: dalla Cineteca Nazionale
del C.S.C., alle Teche RAI (che sembrano interessate quasi soltanto a far
soldi con l'utilizzo dei preziosi materiali di cui dispongono, materiali che
talvolta risultano ancora oggi, nell'era dell'informatica,
malamente catalogati; le stesse Teche
chiedono persino agli autori soldi se questi vogliono ricercare o ottenere
copia di un lavoro del loro passato o di un loro collega). Anche l'Archivio
dell'Istituto LUCE dovrebbe sentirsi interessato a iniziative di questo
genere, le quali potrebbero diffondere e sviluppare una conoscenza
documentata della storia del cinema documentaristico italiano. Michele Gandin ha realizzato nel corso della sua
lunga attività più di centocinquanta documentari, anche di lungometraggio.
Parecchie delle sue realizzazioni, inoltre, consistono
non solo in isolati documentari,
ma sono delle serie di programmi televisivi in numerose puntate.
Sfogliando le filmografie già esistenti, ci si
accorge che Gandin ha realizzato film sulle tematiche più diverse e
interessanti. Oltre a numerosi produttori privati per i quali realizzò
decine di documentari, negli anni '50 e 60' fece film per l'OECE (oggi OCSE,
Organizzazione europea per l'organizzazione economica), ma anche per
un'azienda-modello come la Olivetti. E
fu probabilmente l'unico cineasta italiano chiamato dalla famosa "Shell Film
Unit" a girare per suo conto film di carattere industriale. Per la RAI, fin
dagli anni '70, collaborò a storici programmi settimanali come "TV7" e
"Cordialmente"; alcune serie di programmi dedicati alla natura, tra cui
Alla scoperta degli animali,
furono prodotte e trasmesse in tre anni successivi (1974-76). Nel 1979
realizzò il programma I bambini e la
violenza, prodotto dalla RAI con l'UNESCO. E' qui l'occasione di ricordare che nella
filmografia di Gandin la tematica dedicata all'infanzia è sicuramente tra le
più presenti. Per citare solo qualche titolo:
Bambini del Sud (1959),
Il
cerchio magico, una serie di
cinque programmi TV di 45' dedicati all'importanza del gioco nell'età
infantile (1962), Bambini out
(1969), La parola ai bambini
(1970), Universo bambino (1987).
Una sperimentazione di grande interesse fu quella
che Gandin fece con l'uso della fotografia come base per il suo discorso
audiovisivo: in Gente di Trastevere
(1961) e Processioni in Sicilia
(1965), due dei suoi documentari più noti, le immagini fisse si
trasformano con il montaggio cinematografico in una singolare, specifica,
originale espressione del nuovo linguaggio delle immagini in movimento (motion
pictures) che sta diventando sempre più predominante nel campo della
comunicazione in tutti i campi della società contemporanea. Nella filmografia di Gandin si trova anche un curioso documentario dal titolo 1+1=10 (coregia Michele Gandin e Virgilio Tosi, 1964). E' un film divulgativo realizzato in collaborazione con il Comitato nazionale per l'energia nucleare, con riprese dal vero in laboratori, dove ad esempio un gigantesco elaboratore elettronico, ovvero un prototipo di computer, occupava allora una serie di stanze ripiene di armadi metallici. Numerose sequenze di animazioni grafiche cercavano poi di illustrare le basi matematiche del sistema binario. Visto oggi, dopo circa mezzo secolo dalla sua produzione, sembra un film non di fantascienza, bensì di archeoscienza. Fu Gandin a chiamarmi per collaborare alla realizzazione del film (all'epoca io già realizzavo documentari per il C.N.E.N). Fu un lavoro impegnativo, data la novità dell'argomento e la difficoltà di rendere accessibili concetti allora poco conosciuti. Ma anche interessante perché avevamo a disposizione un consulente scientifico eccezionale: Roberto Vacca, futurologo, divenuto poi molto noto per il suo libro Il Medioevo prossimo venturo (1971). A conclusione della nostra simpaticissima collaborazione ci lesse una sua poesia: era scritta utilizzando unicamente i nomi delle stazioni del Métro di Parigi.
Nel dopoguerra Virgilio Tosi è tra gli animatori del movimento dei Circoli del Cinema. Come documentarista, dopo aver collaborato con Cesare Zavattini, si è specializzato nel campo del film scientifico. Ha svolto in parallelo attività nel campo della critica e della saggistica cinematografica. È stato consulente dell'UNESCO, dell'Istituto Luce, della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, presidente dell'International Scientific Film Association , direttore di ricerche in campo audiovisivo per il C.N.R., il C.S.C. e per la RAI-TV. Ha insegnato al Centro Sperimentale di Cinematografia, alla Scuola ZeLIG di Bolzano, e come professore a contratto di "Cinematografia documentaria" all'Università "La Sapienza" di Roma e in altre scuole di cinema e università. Per filmografia e bibliografia vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Virgilio_Tosi |