Critica doc
   A cura di
Vanessa Crocini


The Most Dangerous Man in America

di Judith Ehrlich e Rick Goldsmith (USA, 2009, 92’)

 

Si e’ svolta lo scorso 4 Febbraio a Los Angeles al Jeff Bridges Theater della UCLA la proiezione di The Most Dangerous Man in America, uno dei documentari in lizza per l’Oscar, co-diretto e co-prodotto da Judith Ehrlich e Rick Goldsmith. Daniel Ellsberg, il protagonista del documentario e Rick Goldsmith, erano presenti per rispondere alle domande degli spettatori alla fine del film.

Daniel Ellsberg racconta un pezzo d’America molto importante e con lui molte delle altre persone coinvolte nel far trapelare i documenti top secret del Pentagono nel 1971. Ben 7.000 pagine di informazioni sulla politica estera condotta da cinque amministrazioni presidenziali e fatte pubblicare dallo stesso Ellsberg sul New York Times con l’aiuto del collega Anthony Russo. Le conseguenze? Un caso nazionale in tribunale, il tentativo da parte del governo di occultare quello che ormai era diventato pubblico, culminato nelle dimissioni del Presidente Nixon.

Quello che viene messo in risalto e’ la trasformazione personale di Ellsberg, da ex Marine da sempre contrario alla guerra in Vietnam, ad Assistente del Ministero della Difesa, che sente l’urgenza di fare qualcosa per portare a termine una guerra lunga e che stava creando malcontento in tutto il paese.

Diciamolo subito: questo documentario e’ sicuramente avvantaggiato per aggiudicarsi l’Academy Award per il tema sul ruolo del governo americano nella guerra del Vietnam, che ha quindi forti connessioni con l’attuale e ancora presente guerra in Afghanistan. The Most Dangerous Man in America può essere definito pero’ un film che coinvolge ogni tipo di spettatore a prescindere dalla propria nazionalita’ e dalle proprie conoscenze storiche e politiche dell’epoca. E questo grazie al protagonista che fin dall’inizio e’ presentato come un personaggio accattivante e dalla personalita’ vincente.

Un documentario iniziato nel 2005 e che ha avuto bisogno di ben 4 anni per essere completato. Goldsmith ha sottolineato quanto per lui e la Ehrlich sarebbe stato importante finire in tempi meno lunghi, vista la politica estera americana degli ultimi anni in Iraq e in Afghanistan, ma purtroppo la complessità di un documentario del genere ne ha dilatato nel tempo il processo di lavorazione.

Tra interviste, immagini di repertorio, registrazioni audio del presidente Nixon dalla Casa Bianca e di altri personaggi chiave al Pentagono, ricostruzioni e animazioni, il film e’ un thriller politico che coinvolge lo spettatore dall’inizio alla fine con tanto di suspence e spesso, momenti piu’ leggeri. Proprio alcuni aspetti stilistici come le ricostruzioni e le animazioni sono state molto apprezzate dal pubblico. Goldsmith ha ammesso che all’inizio pensava che l’uso di queste avrebbe potuto togliere credibilita’ al soggetto. In realta’, le ricostruzioni sono state utili per mettere in risalto i temi della fotocopiatrice e dei documenti che sono centrali in tutto il film. Le animazioni, invece, sono arrivate quasi alla fine del processo creativo.

Sicuramente, secondo Goldmisth, quello che ha aiutato la decisione finale e’ stato sapere di trovarsi di fronte ad un pubblico che da dieci anni a questa parte e’ decisamente abituato ad una visione piu’ dinamica sul piccolo e grande schermo. Per questo il momento in cui viene raccontato il passaggio dei documenti fatto di nascosto, e’ stato rappresentato in animazione aiutato anche dal fatto che chi lo racconta usa un tono umoristico nonostante l’argomento sia molto serio.

Anche l’utilizzo della narrazione in prima persona e’ arrivato dopo molte discussioni tra i due registi. Goldsmith avrebbe preferito una visione piu’ oggettiva e giornalistica degli eventi raccontati in terza persona, ma visto che Ellsberg aveva appena pubblicato il suo libro di memorie, Secrets: A Memoir of Vietnam and the Pentagon Papers, e visto che anche la sua scrittura era molto articolata e dettagliata, e’ stato possibile adattare parte di quel testo per la narrazione del documentario.

Ci sono molti aspetti stilistici e tematici che ci riportano ad un altro documentario conosciuto ed apprezzato, vincitore dell’Oscar nel 2004: The Fog of War. A riguardo Goldsmith ha sottolineato come anche durante il montaggio i due registi fossero consapevoli della vicinanza con il film di Errol Morris per il tema della confessione in prima persona, ma sono sempre stati forti del fatto che Daniel Ellsberg fosse un protagonista ben diverso da Robert McNamara e che i loro ruoli nella politica americana dell’epoca fossero ben distinti.

Il documentario e’ stato finanziato da ITVS e dalle televisioni francese e tedesca. Solo dopo aver raccolto tutto il materiale per un primo montaggio, i due registi si sono resi conto che questo film avrebbe potuto avere una dimensione meno televisiva e che si intravedeva sempre di piu’ la possibilita’ di una distribuzione nei cinema.

Un documentario che punta su argomenti che nonostante mettano a fuoco una situazione vecchia 40 anni, sono sempre molto attuali: i diritti civili, la liberta’ di stampa, la politica estera, la coscienza nazionale. Tutti temi ben presenti nella filmografia dei due registi nei loro precedenti lavori.



 


 Vanessa Crocini è nata a Prato nel 1982. Si è laureata al Dams di Bologna dopo aver vinto una borsa di studio per un anno presso la Università della California di Santa Barbara dove ha messo in pratica la sua passione per il montaggio. Ha lavorato in produzione di serie televisive, video musicali e pubblicità in Italia e a Los Angeles. Ha completato un programma post – laurea alla UCLA,  dove si è interessata maggiormente alla produzione di documentari e web series. Ha realizzato la serie High School Love per Bonsai TV e lavorato sul documentario di Alessandro Rocca, La Lista del Console, girato in Rwanda. Attualmente sta lavorando al suo documentario su una comunità di anziani ad Orange County in California e si occupa della produzione video di siti internet americani ed italiani per l’ambiente.