Woman Rebel
di Kiran Deol
(Nepal/USA, 2010, 37')
Ci sono paesi
dove anche le donne sono costrette a combattere per la libertà, a prendere
in mano armi e ad indossare un'uniforme. Nessuno le forza, ma è la volontà
di cambiare le sorti del proprio paese e dei propri ideali che le spinge a
tanto. Woman Rebel: Silu's Story, diretto dalla venticinquenne
fotografa e produttrice Kiran Deol, parla proprio delle reclute femminili
dell'esercito rivoluzionario in Nepal. La regista, il giorno dopo la laurea
ad Harvard nel 2005, è partita alla volta del Nepal per filmare il suo
documentario per ben quattro anni. L'ispirazione è venuta dalla sua tesi che
riguardava proprio la scrittura di una storia di finzione su una soldatessa
nepalese e, supportata anche da parenti ed amici è partita da sola a girare
in una terra dove, oltre a ritrovare le sue origini, ha soprattutto sentito
il bisogno di raccontare quello che veramente succede a molte donne in
quelle zone remote della terra dove la società è repressa.
Quando è
arrivata in Nepal, è entrata in contatto con alcuni espponenti del partito
Maoista spiegando loro il suo desiderio di mostrare il ruolo delle donne
nell'esercito. Il primo personaggio che Deol aveva seguito per mesi nelle
foreste e a rischio di guerrila ogni giorno, si è poi tirato indietro perchè
sospettava che la giovane regista fosse una spia. Per accedere ad altri
personaggi femminili, la situazione più normale era ricevere telefonate alle
dieci di sera, presentarsi alla fermata dell'autobus alle cinque di mattina
del giorno successivo per essere portata in macchina dopo un'ora di guida
all'interno di boschi e posti sconociuti, a conoscere altre soldatesse. Una
volta conosciuta quella giusta, Deol ha scritto una sceneggiatura ed ha
iniziato a girare.
Il film
racconta la storia della brigadiera Silu dell'Esercito dei Ribelli che
combattono contro l'Esercito Reale. Silu, pseudonimo che la donna usava
durante il conflitto per nascondere la sua vera identità e per proteggere la
sua famiglia, dopo aver visto le discriminazioni del governo nel 1996,
interessato solo a proteggere le persone più ricche e a denigrare le donne,
ha voluto combattere per far ottenere alle sue coetanee diritti paritari
agli uomini e per la democrazia. Silu non è un caso raro. La sua storia è
simile a quella di tante altre donne che hanno fatto la sua stessa scelta e
infatti nell'Esercito di Liberazione il 40% è composto proprio da soldatesse
che mostrano con orgoglio le loro cicatrici avute sul campo di battaglia.
Silu si è unita ai gruppi rivoluzionari maoisti all'età di diciotto anni e
per ben dodici anni ha combattutto rischiando la sua vita ogni giorno per la
libertà di donne come lei. Dal piccolo distretto di Gorkha, la sua ascesa è
raccontata attraverso delle immagini molto forti. Vengono raccontate con
piccole interviste anche le storie di altre colleghe di Silu e la loro
determinazione e convinzione nella causa da difendere è ammirevole.
Il documentario
inizia con il monologo di Silu che parla delle sensazioni che prova quando
ha indosso il suo uniforme. Tra il verde delle foreste di luoghi remoti,
allenamenti che mettono alla prova non solo il fisico ma anche la mente, e
confessioni a lume di candela, il ritratto di Silu si divide tra i suoi
doveri di soldato, di figlia e di sorella. La famiglia di Silu e'
rappresentata con una particolare umanita' resa anche dalla .struggente
situazione politica del paese. I suoi genitori sono molto poveri e in eta'
avanzata e nelle loro interviste non si puo' che compatire la loro
situazione di poverta' e allo stesso tempo di speranza affinche' la
rivoluzione possa cambiare qualcosa.
L'evento che ha
più segnato il futuro di Silu però è stata la morte della sorella che si è
suicidata dopo essere fuggita a dodici anni dalla famiglia del marito che la
picchiava e abusava di lei. Per Silu, tutt'oggi ancora molto scossa da
quell'evento accaduto quando lei aveva solo otto anni, è importante che il
ruolo della donna nella sua società possa cambiare affinchè altre donne non
soffrino più come ha fatto sua sorella. L'altro punto cruciale del
documentario è il rapporto di Silu con il fratello, che combatte
nell'Esercito Reale. Ogni volta che combatte sul campo, c'è sempre il
rischio di incontrarlo e a riguardo Silu non ha dubbi: lei sarebbe sempre
fedele alla causa maoista e ucciderebbe il fratello se necessario. Dietro la
freddezza del soldato, si intravede una certa emozione in Silu, segno che la
regista è riuscita molto bene a costruire un certo rapporto con lei e creare
quella fiducia necessaria per delle interviste confidenziali.
Silu trasmette
il suo amore per la causa anche agli altri soldati dicendo loro che molti
Nepalesi non hanno niente da mangiare nè vestiti da mettere e che c'è il
bisogno di trasformare la guerra in qualcosa che possa alleviare le
sofferenze dei più bisognosi. Il documentario segue in parallelo anche la
situazione politica e nell'ultima parte viene mostrato cosa succede nelle
elezioni democratiche del 2008, dove i Maoisti vincono l'assemblea
costituente e Silu è eletta rappresentante ufficiale. Questa volta con il
suo vero nome, Uma Bojhel, e senza uniforme. Nata in un piccolo villaggio
nepalese, dopo 12 anni nell'esercito e ora membro del Parlamento, Silu viene
accolta in festa ogni volta che visita i genitori.
Suggestive le
immagini girate durante la guerrilla per le quali un pensiero va alla
regista che si èm messa essa stessa in pericolo, scampando proiettili e
granate pur di documentare la vera situazione di queste donne combattenti.
Il film è entrato in lizza per la selezione finale degli Oscar nella
categoria documetaristica dei corti, ha vinto il premio della International
Documentary Association come miglior corto 2010 ed è andato in onda su HBO,
canale televisivo americano che tiene molto alla programmazione di
documentari. Una storia intensa e che mette in rilievo ancora una volta una
situazione dei quali pochi mass media parlano e approcciato in modo toccante
e semplice.
Per il suo prossimo progetto, la
regista vuole produrre una serie intitolata Woman Rebel sulle figure
femminili che hanno concretizzato dei cambiamenti ideologici e sociali
all'interno del proprio paese.
Vanessa Crocini è
nata a Prato nel 1982. Si è laureata al Dams di Bologna dopo aver vinto una
borsa di studio per un anno presso la Università della California di Santa
Barbara dove ha messo in pratica la sua passione per il montaggio. Ha lavorato
in produzione di serie televisive, video musicali e pubblicità in Italia e a Los
Angeles. Ha completato un programma post – laurea alla UCLA, dove si è
interessata maggiormente alla produzione di documentari e web series. Ha
realizzato la serie High School Love per Bonsai TV e lavorato sul documentario
di Alessandro Rocca, La Lista del Console, girato in Rwanda. Attualmente sta
lavorando al suo documentario su una comunità di anziani ad Orange County in
California e si occupa della produzione video di siti internet americani ed
italiani per l’ambiente. |