Critica doc
   A cura di Dante Albanesi


Exit Through the Gift Shop

di Banksy (Usa/Gran Bretagna, 2010, 87’)

 

Thierry Guetta (francese di Los Angeles) vive con la telecamera in mano e filma tutto: famiglia, amici, passanti, i clienti del suo negozio di vestiti… Accumula scatoloni di videocassette che non monta mai, e anzi nemmeno rivede. Un bel giorno scopre con stupore che suo cugino è il misterioso Space Invader, l’artista di strada che riempie Parigi e le capitali europee con mosaici raffiguranti il popolare videogame (e ricavati dai tasselli del cubo di Rubik!). Con l’irresponsabile follia dei sognatori, Thierry decide di documentare l’universo clandestino dei graffiti urbani, pedinando temerarie performance notturne tra stazioni, autobus e tetti di palazzi, durante le quali conosce anche Shepard Fairey, l’autore del celebre ritratto rossoblu di Obama. Ma a mutare per sempre l’esistenza di Thierry è l’incontro col numero uno degli street artist: Banksy. L’uomo senza volto. Il creatore dei “Rat” (infestanti sui muri di tutto il pianeta) e della cabina telefonica “assassinata”. Il teppista dell’arte che dissemina nei musei i propri dipinti pseudoclassici con esilaranti anacronismi, che irrompe incappucciato nei negozi di dischi per sostituire l’inutile CD di Paris Hilton con un altro di sua composizione, che dipinge sulla famigerata Barriera della Cisgiordania la commovente bambina che vola via con i suoi palloncini. Pop come Basquiat e Haring, ma anche situazionista dalla forte impronta politico-sociale. Banksy e Guetta, improbabile coppia di amici: l’artista che si cela al mondo e il cine-bulimico che vorrebbe filmare tutto il mondo.

Exit Through the Gift Shop è definito dallo stesso Banksy come “un documentario su un uomo che voleva fare un documentario su di me”. Ma dietro questo Oggetto Filmico non Identificato si cela una riflessione lucida e amara sull’attuale società dello spettacolo. E se Banksy è (forse) l’autore del film e uno dei protagonisti (sempre con viso oscurato e voce distorta), l’eroe della storia è sicuramente Guetta, l’Uomo Qualunque che volle farsi regista, poi documentarista d’arte, e finalmente artista. Dopo aver partorito dal suo sterminato archivio il terrificante film Life Remote Control, Guetta segue gli incolpevoli consigli dello stesso Banksy. Come ogni street artist che si rispetti, adotta uno pseudonimo (Mr. Brainwash), vende casa e tutti i suoi averi, crea uno staff di collaboratori e allestisce a Los Angeles la mostra “Life is Beautiful”, sfornando in poche febbrili settimane una colossale mole di opere che saccheggiano senza vergogna Warhol, Lichtenstein e dintorni. Il successo, immenso e indecifrabile, eleva Mr. Brainwash a nuova icona dello star system (consacrato da Madonna che gli commissiona la copertina di un album). “Ho sempre incoraggiato la gente che conoscevo a produrre arte, pensavo che tutti dovessero farlo,” commenta Banksy, quasi intimorito dal delirio collettivo che ha contribuito a creare. “Ma ora non lo penso più così tanto...”

Il primo “Street Art Disaster Movie” della storia (secondo lo slogan promozionale del film) è un trattato sulla democratizzazione della Cultura, ma allo stesso tempo sugli effettivi “disastri” che ciò può causare. Ma è anche un film sul “furto”, sul riciclo e l’appropriazione indebita di opere e vite altrui. Banksy riusa i video amatoriali di Guetta allo stesso modo in cui nei suoi graffiti fagocitava l’arte del passato; ma Guetta risponde con lo stesso gioco, sfruttando la luce riflessa dei suoi amici e copiando dichiaratamente i loro stilemi; e in fondo anche i musei di tutto il mondo compiono un’operazione simile nei loro “gift shop”, dove l’arte viene spremuta in oggettistica, souvenir e denaro. Exit Through the Gift Shop mette a confronto due opposti comportamenti umani: l’ossessione (sempre più diffusa) di apparire e quella (ben più rara) del nascondersi.



 


 Dante Albanesi (San Benedetto del Tronto, 1968). Docente di discipline cinematografiche e televisive. Scrive di cinema su riviste e siti web.