Critica doc
   A cura di Dante Albanesi


Corde

di Marcello Sannino (2009, 55’)

 

Non è una boxe per il cinema. Niente colonne sonore roboanti, improbabili altalene emotive e orde di spettatori sovreccitati. Qui le gradinate sono quasi sempre semivuote; al massimo i genitori, la ragazza, l’allenatore, qualche addetto ai lavori... Si è sempre soli sul ring, ma qui si è più soli che mai.

Stacco. In un anonimo salone (questo assai più affollato), una pallina si agita smaniosa dentro una teca di vetro, in perenne battaglia con le sue ottantanove sorelle. È il gioco perfetto il bingo, perché non richiede nessun calcolo, nessuna riflessione. L’unica strategia possibile è assistere impotenti alle bizzarrie del caso che ogni sera decreta vittoria e sconfitta, sporadici guadagni e ordinarie rovine. E proprio come una biglia, rimbalza da un lavoro all’altro e da un vicolo all’altro l’esistenza di Ciro Pariso, pugile peso piuma, campione italiano nel 2003 (“Sì… ma poi si è fermato…” commenta sconsolato il padre, che Ciro non frequenta da anni). Dalle nove alle due in un autolavaggio, dalle nove di sera alle quattro autista per i disperati nottambuli del bingo. La passione di tutta una vita trova salvezza e sfogo il pomeriggio, tra esitazioni, pigrizie, inevitabile stanchezza, disillusione per gli anni che passano. Forse anche Ciro vorrebbe osservare la propria vita dall’esterno, dal punto di vista di quel tizio annoiato all’ultima fila. Come se sul ring ci fosse qualcun altro. Sannino se ne accorge, e lo pone proprio in questa condizione: gli mostra le scene già filmate, le più scomode, come la morte del suo amato allenatore Geppino Silvestri o l’intervista al padre. E addirittura gli chiede il permesso di montarle. Perché Sannino vuole che il documentario somigli al suo protagonista: un ritmo di mediterranea pacatezza e una napoletanità “in minore”, dove gli sguardi restano bassi e ogni frase sembra sussurrata.

Da un lato c’è il Ciro che pensa soltanto alla boxe. Anche mentre lavora, mentre ripone le chiavi di casa sotto la persiana, mentre corre sul lungomare. Anche mentre perde, e spossato ai bordi del ring borbotta al suo istruttore: “Ma perché insistete tanto con me?” Ma dall’altro lato c’è il Ciro che giorno dopo giorno si affida agli eventi. Ha un figlio, si sposa in municipio con la fidanzata di sempre. Dolcemente si abitua a vivere. Poi, consumato l’ultimo (vittorioso) incontro, la storia si interrompe brusca come un K.O. tecnico. Senza scene madri, senza i pianti di Stallone, senza i bagni di sangue di De Niro. Solo il tifo composto di un pugno di familiari e amici. Non sappiamo cosa accade dopo. Se Pariso vincerà i campionati italiani, se realizzerà i suoi sogni. O se la vita stringerà anche lui all’angolo; e da un momento all’altro lo chiamerà a discernere ciò che si vorrebbe fare da ciò che si deve fare. Ma Corde ci dice che anche questa incertezza, questa provvisoria incoscienza, sono già un valore. Che sostenere una sfida fino all’ultimo round rappresenta in ogni caso una vittoria. Ed è comunque meglio che rassegnarsi ad accettare i giochi del mondo vero. Dove alla fine il banco vince sempre.

 



 


 Dante Albanesi (San Benedetto del Tronto, 1968). Docente di discipline cinematografiche e televisive. Scrive di cinema su riviste e siti web.