Critica doc
   A cura di Dante Albanesi


Sguardi Doc sull'Oriente

 

Due recenti documentari italiani studiano la complessa realtà dell’India e della Cina, adottando prospettive completamente opposte. Il primo è Pink Gang di Enrico Bisi (2010, 80’). India, stato dell’Uttar Pradesh, provincia di Banda. Più del 20% della popolazione è “intoccabile”, appartiene cioè alla casta più bassa (e di conseguenza più povera). In una società ancora feudale e dominata dall’uomo, le donne sono le prime vittime di discriminazioni e abusi. “Nessuno ci viene ad aiutare” dice Sampat Pal Devi, 47 anni, sposata all’età di 9 e madre di cinque figli, che per reagire a questo stato di cose fonda le Gulabi Gang (Pink Gang). In appena due anni raccoglie centinaia di membri, provenienti dalle caste inferiori; vivono in capanne di fango e mattoni, senza acqua né luce, sopravvivendo con meno di un euro al giorno. La loro divisa è un sari rosa, e armate del loro tradizionale “lathi” (bastone) estirpano la corruzione della polizia e puniscono esemplarmente i colpevoli di violenza domestica o sessuale. Sampat è ormai un’eroina locale: “Abbiamo impedito che le donne vengano violentate e abbiamo mandato le ragazze a scuola… In caso di violenza domestica, andiamo a parlare al marito per spiegargli che ha torto. Se rifiuta di ascoltare, facciamo uscire la moglie e picchiamo lui. Se necessario, lo picchiamo in pubblico per farlo vergognare...”

Per il suo esordio nel documentario, Enrico Bisi si discosta dalla raffinatezza formale dei suoi corti di finzione (vedi il pregevole A occhi aperti) e segue questo miracolo di rivolta sociale proletaria schivando ogni commento moralistico, fino alla scena madre che non si dimentica: una giovane donna si è impiccata, ma Sampat è convinta che sia una messinscena per coprire l’omicidio provocato da suocera e marito. Scortata dal branco delle Pink Gang, provoca dal nulla una sorta di processo collettivo a porte aperte, e con metodi assai poco garantisti “convince” i due rei a confessare. La regia assiste al disturbante happening come uno straniero tra la folla, sospesa tra spaesamento e stupore.

Giallo a Milano (2009, 74’) racconta l’eterogeneità sociale attraverso l’eterogeneità stilistica. Il regista Sergio Basso “cambia film” ad ogni sequenza, mescola i registri e passa dall’animazione alla ricostruzione giornalistica, dall’intervista al teatro, dalla sequenza recitata al videoclip. La comunità cinese di Milano è vista come un mondo a parte. Quartieri al limite dell’autogestione, dai quali all’esterno trapela poco o nulla, e dove si consumano diversi omicidi alla luce del sole (anche a colpi di machete). Una separazione netta, corroborata da antichi razzismi, dalla paura per il diverso, o da semplice indifferenza. Laureato in Lingue e letterature orientali e vissuto a lungo in Cina, Basso combatte questa disinformazione attraverso l’ironia e la molteplicità dei punti di vista. Racconta una città focalizzando i suoi vivaci microcosmi: una palestra, una lezione di scuola-guida, una visita dal ginecologo, l’Accademia di Brera, un cimitero (dove i tanti nomi orientali smontano la leggenda dei “cinesi che non muoiono mai”), una scuola elementare dove la maestra italiana conosce il mandarino (la lingua ufficiale), ma gli alunni non la capiscono perché in casa loro si parla solo dialetto. Con una struttura in quindici capitoli e un ritmo da poliziesco anni ’70, saturo di ralenti, accelerazioni e split-screen, Giallo a Milano scardina banalità e luoghi comuni, evitando ogni corda patetica. Non riscatta lo straniero mitizzandolo, ma umanizzandolo in tutta la sua quotidiana normalità, nutrita di piccole manie in tutto simili alle nostre. E regalandoci spiazzanti battute: molti cinesi guardano l’italiano medio come un fannullone, e dunque rimangono da noi “perché la Cina ormai è più sviluppata. Là non riusciremmo ad essere competitivi…” E un ragazzo in una sala di biliardo rivela che gli italiani sono così, non fanno niente dalla mattina alla sera, stanno sempre in giro... L’importante è non imitarli.

 


 Dante Albanesi (San Benedetto del Tronto, 1968). Docente di discipline cinematografiche e televisive. Scrive di cinema su riviste e siti web.