Valentina Postika in attesa di partire
di Caterina
Carone (Italia, 2009, 77’)
Un film di
attese. Come il titolo stesso suggerisce, Valentina Postika (1°
Premio al Torino Film Festival 2009) esplora quegli intervalli neutri della
nostra esistenza durante i quali non accade nulla. Prima che un qualsiasi
evento possa far “partire” una storia.
Siamo a Pesaro.
La moldava Valentina, emigrata da ormai cinque anni, lavora come badante per
Carlo Paladini (nonno della regista), ottantottenne ex partigiano, dirigente
del Partito Comunista locale e della sezione ANPI. La narrazione è quasi
completamente assente, perché tutto è già avvenuto (la Resistenza, la lotta
politica: sessant’anni di ricordi gelosamente custoditi da Carlo negli
innumerevoli super 8, fotografie e giornali del suo archivio) o tutto deve
ancora avvenire (il ritorno di Valentina in Moldavia dai suoi tre figli, con
i soldi per comprare finalmente una casa). Vita che scivola via, mentre la
Storia prosegue oltre il giardino di casa. I filmini amatoriali che
interrompono le immagini al presente svolgono dunque questa doppia funzione:
per Carlo (che sta gradatamente perdendo la memoria) mantengono in luce il
passato, per Valentina presagiscono il futuro. Ma per entrambi sono il luogo
di un’indicibile nostalgia.
La simmetria,
anche se mai sottolineata, è chiara. Da una parte l’anziano politico, col
suo studio dove campeggiano le icone del regime socialista; dall’altra la
concreta badante, che da quello stesso regime è forse fuggita. Come in un
vero e proprio documentario storico, diversi passati (diversi modi di
“rileggere” il passato) si stratificano; tra l’Est idealizzato da Carlo e
l’Est rinnegato da Valentina, emerge in un fugace zoom un’era ben più
lontana e rimossa: il fascio littorio ancora visibile sull’insegna di una
strada.
Per
testimoniare il quotidiano di questa strana coppia della placida provincia
marchigiana, Caterina Carone adotta una scrittura spoglia, “domestica”, che
è in fondo l’ideale prolungamento dei video ereditati dal nonno. Tale
prospettiva familiare ha precedenti illustri. In primis il celeberrimo
Un’ora sola ti vorrei di Alina Marazzi (anch’esso totalmente basato sui
filmati del nonno dell’autrice) e Chiusura di Alessandro Rossetto
(che di Valentina Postika è non a caso tra i produttori), cronaca
della fine del negozio di parrucchiera tenuto dalla madre del regista. Ma
ancor più vicino nella struttura è il commovente Ima della tedesca
Caterina Klusemann, dove l’autrice esorta la nonna ebrea a superare i suoi
traumi e ricordare la propria esperienza nel lager.
In un sublime
stacco di montaggio che travalica due secoli e inverte soggetto e oggetto
della rappresentazione, Valentina Postika passa da Carlo che filma la
nipote in campo lungo ai piedi di un altissimo abete, a Caterina che filma
il nonno in primo piano con un alberello sullo sfondo. Ma come spesso accade
nei film di famiglia, il personaggio si ribella al suo supposto autore. Il
vecchio punta lo sguardo stanco verso l’obiettivo e con brutale sincerità
domanda: “Perché perdi tanto tempo?” E poco dopo la rimprovera sbuffando:
“Siete di un altro mondo…” È qui forse il segreto di tanto cinema
documentario. Chi si pone dietro una telecamera viene sempre “da un altro
mondo”, perché osserva ogni cosa come se fosse già passato remoto. Già
partita verso un altro luogo.
Dante Albanesi
(San Benedetto del Tronto, 1968). Docente di discipline cinematografiche e
televisive. Scrive di cinema su riviste e siti web. |